Meditazione e Mantra
Testi ed immagini compilati e supervisionati da Marco Stefanelli, PhD
La meditazione è la base indispensabile per ogni cammino di conoscenza per la vita stessa. Ogni tradizione, ogni filosofia e ogni cultura ne parlano da sempre. Ne esistono innumerevoli forme adatte per i vari percorsi e tipi di persone. Molti la praticano e molti ne sono intimoriti. Molti sono già dei meditatori eccellenti. Fine della Meditazione è l’unione o meglio la ri-unione dell’individuo con la fonte della vita, con la Mente Universale, con il Creatore, con il Tutto, comunque lo si voglia chiamare. E’ importante considerare subito una distinzione che è fondamentale, cioè la motivazione, lo scopo della meditazione stessa. Da questa infatti dipendono i risultati che otterremo. La molla che ci spinge può essere di due tipi: cercare il controllo della nostra mente, il suo sviluppo e i suoi poteri, oppure cercare il giusto uso della mente per fini spirituali. Queste due motivazioni dipendono dalla dualità in cui si svolge tutta la nostra vita. Qui siamo posti di fronte alla scelta tra il potenziamento per il mondo materiale o per quello dello spirito. Gli esercizi possono essere gli stessi, ma la motivazione farà la differenza per i risultati che otterremo. La differenza nei risultati dipende dalla motivazione, da quale molla ci spinge, perché i miglioramenti ottenuti dalla nostra conoscenza e dal nostro potere sono forze neutrali che diventano positive o negative secondo l’uso che ne facciamo. Bisogna fare anche attenzione a motivazioni minate anche sottilmente, rivestite di apparente nobiltà. E’ importante quindi interrogarci circa la vera molla che spinge. La risposta dovrebbe essere inequivocabilmente che desideriamo conoscere meglio le leggi della Natura e della vita, per vivere meglio e più consapevolmente per noi stessi, ma anche per aiutare ed ispirare gli altri ad imboccare questo percorso evolutivo.
La meditazione esiste nel passato di tutti i popoli e rappresenta i diversi tentativi fatti dall’uomo per ritrovare la propria origine trascendente. La radice della meditazione è la stessa nelle diverse tradizioni, nonostante le differenze apparenti, ed è facile trovare tecniche analoghe in tutto il mondo.
La concentrazione fa parte della fase meditativa iniziale ed è un allenamento dell’attenzione controllato volontariamente. E’ come quando, per imparare ad andare in bicicletta, proviamo e riproviamo i diversi movimenti. La meditazione è quando ormai siamo padroni di tutti i movimenti, ci diamo una meta e ci dirigiamo verso di essa quasi automaticamente, senza sforzo e senza più pensare a cosa dobbiamo fare per pedalare e stare in equilibrio. Un’altra differenza è che la concentrazione può anche essere semplicemente utile nel quotidiano, mentre la meditazione ha un contenuto spirituale, più elevato, ma anche più impegnativo. Così le tecniche di concentrazione possono essere oggetto di studi e insegnamenti retribuiti, fare parte di corsi veri e propri per una maggiore efficienza e resa dell’individuo, mentre la vera meditazione fa parte di una sfera diversa, soggetta a leggi e regole diversi. La vera meditazione è quella volta ad un continuo miglioramento della nostra vita spirituale, con tutto l’impegno che questo comporta. E’ quindi uno studio che segue percorsi particolari.
L’origine della meditazione risale a circa 5.000 anni fa, ai Veda, antichi testi sapienziali indiani espressi in forma di narrazioni, miti e simboli, ed è una pratica fondamentale per mettersi in rapporto con la divinità. E’ un percorso progressivo attraverso diversi livelli di assorbimento profondo (Samadhi), che richiede una purificazione di tutto l’essere e culmina in una elevazione illuminante, attraverso il potere evocativo della preghiera con cui l’uomo raggiunge la dimensione della trascendenza.
Le tecniche meditative si possono raggruppare in tre categorie:
• Meditazione mantrica, basata su ripetizioni di parole, frasi, canti, preghiere, invocazioni, lodi.
• Meditazione visiva o visualizzazione meditativa, basata sulla visualizzazioni di divinità o dei loro simboli.
• Meditazione contemplativa che fonde cuore e mente, basata su un concetto in grado di assorbire interamente l’attenzione del meditante. Da questa fusione dipende la veggenza più profonda.
Secondo il Rig Veda, antico testo sacro dell’India, meditare significa sospendere le attività mentali fuorvianti per ritrovare l’uomo reale. Ciò elimina lo sforzo di apparire quello che non si è e ci riunisce con la nostra divinità interiore. Ma la meditazione, proposta nei Veda, viene definita successivamente, nelle Upanishad, antichi testi sacri nati come commento e conclusione dei Veda ed espressi in linguaggio diretto. Nelle Upanishad il divino è già dentro di noi, ed è chiara la distinzione tra “io psicofisico” e “io o sé spirituale”. Solo questa conoscenza può portare l’uomo sulla strada della liberazione dal Karma, liberandolo da maschere, travisamenti, blocchi. La mente, impegnata in attività conoscitive devianti e condizionanti, travisa le cose e si perde in miriadi di parole e di concetti, invece di raggiungere l’essenza delle cose. Da qui nascono le contrapposizioni del dualismo e la continua fuga da noi stessi in uno sforzo di mistificazione che porta alla perdita della nostra vera identità, al senso di vuoto, ad angosce e paure. La via d’uscita da questa situazione di sofferenza è la meditazione, che sospende le attività mentali falsificanti e ci porta a ritrovare noi stessi e il divino dentro di noi, l’energia da cui nascono tutti i nostri poteri. Per reintegrarci con questa energia dobbiamo meditare sul suo splendore, integrarlo in noi, nei nostri pensieri, così da trasformarlo in illuminata visione della realtà. Questa conoscenza ci porta sulla strada della liberazione dai legami karmici.
L’Io esteriore dell’essere umano è il prodotto della famiglia, dei condizionamenti, della eredità genetica, dell’ambiente, mentre il suo Sé spirituale è incontaminato e incondizionato. Il Sé individuale che è in noi è parte del Sé cosmico che tutto comprende, lì ha le sue radici. Dentro di noi, qui ed ora c’è la risposta alle domande: “Chi siamo?” e “da dove veniamo?”. La verità può essere conosciuta attraverso una esperienza interiore, perché è dentro di noi. E in noi dobbiamo anche armonizzare la nostra parte maschile con quella femminile per ritrovare la nostra originaria unità, alla quale tutti tendiamo.
Secondo Patanjali la meditazione è solo una fase del percorso di illuminazione e liberazione dalla materia e dai condizionamenti. Patanjali è vissuto tra l’800 e il 300 a.C. (la data non è certa) ed ha fatto il primo tentativo di riassumere e sistematizzare gli insegnamenti Yoga. Egli è partito da una base filosofica che ci dà una classificazione delle strutture del mondo tanto materiale che spirituale. Non crede che la sola conoscenza metafisica possa portare l’uomo alla liberazione, ma ritiene necessarie anche una tecnica di ascesi e una di meditazione. Quindi è necessario arrivare a controllare e gestire l’attività mentale, e a questo si arriva attraverso una tecnica psico-fisiologica che possa sostituire al normale stato di coscienza uno stato di comprensione e di identificazione della realtà metafisica. In pratica, per liberarci dall’ignoranza, dagli errori nella conoscenza e dalle sofferenze che ne derivano, è necessario percorrere gli otto stadi del Raja Yoga, come descritto negli Yogasutra: requisiti morali, requisiti disciplinari, posizioni fisiche, controllo della respirazione, controllo delle emozioni, concentrazione, meditazione, controllo dell’attività mentale e raggiungimento dell’illuminazione. In pratica lo yogi si libera dagli ostacoli di questa vita per tornare alla condizione originaria che è divina.
Nella spiritualità devozionale vaishnava del Bhakti-Yoga la pratica fondamentale consiste nell’essere continuamente consapevoli della presenza di Dio attraverso il canto dei suoi Santi Nomi. La cultura vaishnava è stata diffusa in occidente da Srila Bhaktivedanta Svami Prabhupada a partire dal 1966. In questa antichissima tradizione si fa risalire l’origine di ogni male, squilibrio o conflitto all’aver dimenticato la nostra natura spirituale originale e il nostro rapporto con il divino, quindi alla falsa identificazione con l’ego e con il corpo materiale.
Nella meditazione vaishnava l’uomo cerca il suo miglioramento, rimanendo cosciente. Ne conseguono la rinuncia agli attaccamenti, ai condizionamenti e ai legami terreni approdando alla possibilità di contatto con il divino, che sopraggiunge spontaneamente, come una grazia: allora la distinzione fra conoscenza, conoscente e conosciuto non ha più rilevanza. Questa è una forma di meditazione che si basa sul servizio devozionale, che ha la funzione di concentrare il pensiero e poi di trascenderlo, verso una esperienza di unificazione o assorbimento.
La meditazione vaishnava si compie ripetendo da soli o in gruppo il famoso Maha-mantra: Hare Krishna, Hare Krishna Krishna Krishna Hare Hare Hare Rama Hare Rama Rama Rama Hare Hare.
Nel suo libro “Divinità Umanità e Natura” al capitolo “Tecnologia del Santo Nome”, il prof. Marco Ferrini ha descritto molto bene il funzionamento della meditazione e della tecnologia sottile del mantra. Riportiamo un estratto:
“Per millenni i saggi indiani hanno portato avanti studi profondi e vasti sul rapporti intrapsichici dell’essere umano, conseguendo una conoscenza e una specificità di linguaggio così alte, da permettere loro di sperimentare con successo livelli straordinari di coscienza e di descriverli compiutamente.
Negli Yogasutra di Patanjali, antico trattato di psicologia del profondo e di realtà metafisica, viene descritto un tipo di meditazione denominato sabija samadhi (samadhi(14) con seme o tema). Esso comporta la visualizzazione e la presa di coscienza di un livello superiore di realtà ottenuto mediante la meditazione su di un mantra.
Fin dai tempi prestorici delle Samhita vediche i mistici, i saggi e i teologi vaishnava hanno attribuito immenso valore alla realizzazione spirituale attraverso il suono sacro, Shabda-Brahman, rappresentato principalmente dalla recitazione e dalla meditazione sui Nomi divini; tale pratica è definita Nama-smarana e costituisce, in questa tradizione, l’essenza di tutte le attività religiose, nonché l’esercizio spirituale più significativo per il ricercatore spiritualista, il bhakta. Nella tradizione mistica vaishnava della Caitanya-sampradaya, il bija è costituito dal Maha-Mantra.
Le esperienze a livello nama, cioè a livello della conoscenza verbale, a livello rupa(15) ed al livello rasika, il livello proprio delle emozioni e dei sentimenti, attivano delle vritti(16) che, a loro volta, innescano un ricordo costituito da emozioni e pensieri dai quali residua un’impressione nella memoria, una traccia duratura detta samskara. Questi samskara finiscono negli archivi della mente, a volte in forma cosciente, altre volte nell’inconscio.
L’intrattenersi con concentrazione deliberata (dharana) nell’Hari-nama japa è il trattenersi nel campo mentale di una vritti. Sul piano cosciente la vritti crea una configurazione mentale che determina un complesso di samskara capace di bloccarne ogni altro di tipo indesiderabile e quindi anche ogni altra “vritti di ritorno”(17). La concentrazione sull’Hari-nama potrebbe definirsi concentrazione su una vritti che, in questo caso, essendo l’Hari-nama costituito di pura energia spirituale, manifestazione sonora di Dio, modifica positivamente la psiche in quanto la purifica in profondità ed ampiezza (tra i vari significati di prasadam spicca quello di ‘grazia divina’, ma anche quello di ‘purificazione’. Il campo coscienziale creato da questa speciale vritti blocca l’affioramento sul piano mentale non solo delle vritti che scaturiscono direttamente dal sensorio in contatto col fenomenico esterno, ma anche da quelle “di ritorno” prodotte dai ricordi i quali, affiorando sia dalla memoria cosciente (smritaya)(18) che da quella inconscia (karmashaya), provocherebbero ulteriori vritti che costituirebbero un disturbo per la mente, in quanto modificazioni e quindi inopportune distrazioni rispetto al tentativo di concentrazione.
Quest’ultima è ovviamente essenziale nella pratica del nama smarana. Ma come riuscire a capire quando la concentrazione e la meditazione hanno avuto successo? Quando vengono meno nella coscienza tutte le implicazioni con i condizionamenti dell’io storico nel paradigma spazio-temporale. Questo è un segno importante che demarca il passaggio dallo sforzo per la concentrazione alla meditazione sulla realtà trascendente, ovvero quel “guado coscienziale” che dalla dimensione egocentrica porta a quella teocentrica, dal monologo porta al dialogo con Dio.
Riassumendo: il samadhi basato sul Nama-smarana potrebbe essere definito una “mono-vritti” dove la concentrazione ha come unico oggetto il Santo Nome, il bija-mantra o maha-mantra(19), che invade completamente, dominandoli e purificandoli, il campo della mente e della coscienza. Non si tratta di un’azione volta all’annullamento dell’ambito psichico e coscienziale, ma di una precisa opera di eliminazione di tutte quelle scorie che, intasando la mente, precludono alla coscienza di percepirsi così com’è. La coscienza dunque non si svuota, ma assume i caratteri del metafisico.
Il termine sanscrito mantra significa ‘ciò che protegge la mente’. La vibrazione sonora del mantra armonizza la mente e la protegge dal pensieri tossici. Quando si è smarriti, negativi, depressi o comunque emotivamente alterati, cantare o recitare il mantra con sincerità può modificare radicalmente lo stato di coscienza e produrre uno stato di serenità, gioia, visione e ispirazione. Il mantra è la forma sonora della verità (satyarupa) e, nella tradizione vaishnava, il maha-mantra rappresenta la forma sonora di Dio e possiede le Sue stesse potenze. Ogni sillaba è densa di energia spirituale e può trasformare l’energia psichica, da disecologica in ecologica.
Dopo la purificazione del cristallo mentale, il campo della coscienza può attingere direttamente dal piano della Realtà e si popola di immagini, ricordi, visioni, suoni ed emozioni spirituali, così da consentire la consapevolezza della individualità ontologica o Nitya Svarupa”.
In merito alla tecnologia sottile, lo scienziato e ricercatore Gregg Braden, nei sui libri “L’effetto Isaia” e “La scienza perduta della preghiera”, parla di una vera e propria tecnologia della preghiera capace di intervenire sulla realtà modificandola. Braden dice: “Alla fine degli anni ’80, l’effetto della preghiera di massa e della meditazione fu documentato attraverso alcuni studi svolti nelle maggiori città, in cui il numero di crimini gravi diminuì notevolmente grazie a continue veglie per la pace, tenute da persone appositamente formate. Gli studi hanno escluso la possibilità di ‘coincidenze’ causate da cicli naturali, cambiamenti nelle politiche sociali, o imposizioni di legge. Quando uno stato di calma e di pace veniva a stabilirsi all’interno dei gruppi di sperimentazione, gli effetti dei loro sforzi venivano percepiti al di fuori delle stanze e degli edifici che quelle persone occupavano. Attraverso una rete invisibile, apparentemente capace di penetrare nei sistemi di credenze, nelle organizzazioni e nei vari strati sociali delle aree cittadine più decadenti, una scelta di pace fatta da pochi individui riusciva a toccare le vite di molti. I gruppi che svolgevano preghiera e meditazione provocarono un effetto diretto, osservabile e misurabile sul comportamento umano”.
Braden ha fatto molte ricerche sulla preghiera, non solo ricorrendo a testi profetici, specialmente di derivazione essena, ma anche recandosi nei santuari del Tibet, perché si dice che gli Esseni si fossero rifugiati in quella terra, e quindi qualcosa delle loro tradizioni sarebbe dovuto rimanere nei costumi degli antichi monasteri. Durante la visita in Tibet, gli fu rivelato che l’essenza della preghiera consisteva nel sentimento. Potevano anche non esserci parole nella preghiera efficace ed efficiente, ma se vi erano, quelle parole dovevano suscitare un sincero sentimento, un’emozione. Riprendendo i testi esseni, Braden trova che emozione, pensiero e sentimento sono le chiavi della tecnologia della preghiera e che all’interno di noi stessi dobbiamo sperimentare, sentire ciò che vogliamo realizzare all’esterno; e questo dobbiamo sentirlo nel corpo, nei pensieri e nei sentimenti. Possiamo dare solo ciò che abbiamo, possiamo espandere fuori di noi ciò che siamo. Ciò che vogliamo deve realizzarsi contemporaneamente nel pensiero, nel sentimento e nel corpo. Il pensiero e l’emozione, prima devono essere considerati separatamente e poi riuniti perché il pensiero deve essere il sistema di guida che indirizza le nostre emozioni. Il pensiero, anche sotto forma di immaginazione e visualizzazione, determina dove dirigere l’attenzione e l’emozione. L’emozione è l’energia che ci fa percorrere la direzione voluta, è “la fonte di potere”.
Per Braden, all’estremo esistono solo due emozioni: l’amore e la sua mancanza, spesso identificata con la paura. Il sentimento è l’unione di pensiero ed emozione, infatti per provare un sentimento dobbiamo avere un’idea e un’emozione. Ora, il sentimento, dice Braden, “è la chiave della preghiera, perché la creazione risponde al mondo del sentire umano”.
Gregg Braden nel suo libro “L’effetto Isaia” parla della tecnologia della preghiera e dice: “Alcuni studi recenti sugli effetti della preghiera danno nuove credibilità ad antiche affermazioni, secondo cui possiamo ‘fare qualcosa’ contro gli orrori del nostro mondo, sia presente che futuro. Gli studi forniscono un crescente corpus di prove del fatto che le preghiere focalizzate, specialmente se svolte su larga scala, hanno un effetto prevedibile e misurabile sulla qualità della vita nel momento in cui vengono pronunciate. Gli studi documentano variazioni statistiche, relative all’incidenza di particolari crimini e di incidenti automobilistici durante i momenti di preghiera, e mostrano l’esistenza di un rapporto diretto tra preghiere e statistiche. Durante il momento in cui si prega, le statistiche si abbassano. Quando si smette di pregare, le statistiche tornano ai livelli precedenti”.
Possiamo concludere dicendo che i nostri pensieri, i nostri stati d’animo, influenzano le persone che ci stanno vicino, quelle che incontriamo, ma anche la città in cui viviamo. E’ praticamente impossibile non influenzare o non essere influenzati dall’ambiente, ricordiamoci che tutto ciò che esiste vibra. Quindi, per prima cosa diventa importante capire ed essere coscienti dei pensieri e delle emozioni rappresentati dai nostri sentimenti, perché talvolta si esprimono pensieri che sottendono emozioni diverse da quello che affermiamo, e finiamo così per realizzare effetti indesiderati, o facciamo in modo che la nostra preghiera non funzioni. I pensieri, in se stessi, possono veicolare delle aspettative, ma rimangono desideri potenziali e quindi inerti se non sono accompagnati dal potere dell’emozione. Spesso, però, l’emozione che accompagna un desiderio cammina in direzione inversa al nostro desiderio, ma noi non ne siamo coscienti. In sintesi, dobbiamo sentire che ciò che vogliamo si è già realizzato e che la nostra preghiera è stata esaudita nel momento stesso in cui l’abbiamo pronunciata. Ciò è stato comprovato anche a livello scientifico: infatti, si è scoperto che le nostre emozioni e sentimenti influenzano il DNA, che a sua volta influenza gli atomi e le molecole di quanto ci è vicino.
(14) Visualizzazíone di un certo livello di realtà metafisica.
(15) Lett. ‘forma’, non solo grafica.
(16) Lett. ‘Modificazioni mentali’, ‘vibrazioni’, ‘vortici’.
(17) Vibrazioni che partono dai ricordi e impressionano di nuovo la mente.
(18) ‘Ricordo’. Il termine si forma sulla radice sanscrita smri, ‘ricordare’, cui corrisponde etimologicamente l’italiano ‘memoria’.
(19) Il Mahamantra si compone di tre Nomi divini: Hara, Krishna e Rama, che indicano rispettivamente l’energia spirituale del Signore, il Suo fascino e la Sua beatitudine. Nel Mahamantra questi tre Nomi sono declinati al caso vocativo, ad espriamere lo spirito d’invocazione in cui dovrebbero essere recitati; ecco come si presentano: Hare Krishna Hare Krishna Krishna Krishna Hare Hare Hare Rama Hare Rama Rama Rama Hare Hare.”
Audio Albums specifici:
Album dedicato alla meditazione e alla riflessione con 45 minuti di musica e suoni. I brani sono progettati per coadiuvare e facilitare la meditazione e la riflessione in genere.
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