testi e immagini a cura di Marco Stefanelli, Ph.D.
con estratti rielaborati da Wikipedia
Binauralità e Stereofonia
La registrazione binaurale viene spesso confusa con quella stereofonica, ma in realtà si tratta di due sistemi molto differenti:
Nella registrazione stereofonica di un concerto, ad esempio, il suono viene tradizionalmente ripreso da numerosi microfoni di prossimità, strumento per strumento, e registrato su altrettante tracce separate, mentre l’acustica dell’ambiente di registrazione viene ripresa (eventualmente, ma non sempre) con una coppia di microfoni supplementari. Il tutto dovrà poi essere miscelato su due sole tracce (destra e sinistra), per consentirne la comune riproduzione acusmatica. In tal modo, nonostante vi sia la possibilità di intervenire sul suono di ogni strumento in fase di post-produzione, gli equilibri naturali tra i suoni degli strumenti e l’ambiente acustico della sala risulteranno compromessi o del tutto perduti, così che il suono registrato sarà inevitabilmente diverso da quello ascoltato direttamente al concerto.
Nella registrazione binaurale, invece, il suono viene ripreso complessivamente (strumenti ed ambiente nel loro corretto equilibrio, in modo analogo alla nostra percezione uditiva) dal microfono a testa artificiale e registrato direttamente su due soli canali, garantendo una elevata somiglianza tra il suono ascoltato al concerto dal vivo e quello registrato.
La registrazione binaurale (a due orecchi) è un metodo di registrazione tridimensionale del suono che ha il fine di ottimizzare la registrazione per il suo ascolto in cuffia, riproducendo il più fedelmente possibile le percezioni acustiche di un ascoltatore situato nell’ambiente originario di ripresa dell’evento sonoro, mantenendone le caratteristiche direzionali a 360° sferici.
Tecniche di registrazione binaurale
La tecnica di registrazione binaurale più semplice prevede l’utilizzo di due microfoni posti su un sostegno in direzione reciprocamente divergente, a circa 17 cm di distanza l’uno dall’altro. Questo metodo, pur simulando la posizione nello spazio delle orecchie umane, non consente una registrazione binaurale vera e propria, in quanto non tiene conto dell’effetto fisico che la testa dell’ascoltatore ha sulla propagazione del suono.
Una tecnica più elaborata prevede l’utilizzo di una testa di manichino, costruita con dimensioni e materiali atti a riprodurre fedelmente l’assorbimento sonoro di una vera testa umana e soprattutto la sua funzione di separatore naturale tra i due canali uditivi (destro e sinistro). La testa riproduce con particolare fedeltà la forma dei padiglioni auricolari e i canali uditivi, all’interno dei quali vengono posti due microfoni ad alta fedeltà. In tal modo i microfoni captano il suono come risulta equalizzato e modificato in fase dalla testa, e quindi nel modo più simile a come l’avrebbe percepito un ascoltatore reale.
Esistono metodi ancora più sofisticati, che usano complessi apparati di equalizzazione, e metodi semplificati, tra cui quello che prevede l’utilizzo di un disco fonoassorbente (disco Jecklin) tra i due microfoni contrapposti, al posto della ben più complessa e costosa testa artificiale.
Riproduzione binaurale
La registrazione binaurale viene riprodotta al meglio mediante l’ascolto in cuffia, in special modo tramite i modelli “in-ear”; l’ascolto tramite casse acustiche tende, infatti, a confondere il senso di spazialità dovuto alla separazione dei canali apportata dalla testa artificiale. Le tecnologie più sofisticate, tuttavia, disponendo di strumenti di equalizzazione psicodinamica e di teste artificiali di particolare precisione anatomica (ad es. il Neumann KU 100), consentono un eccellente ascolto anche tramite altoparlanti stereo.
Un’ulteriore complicazione è dovuta al fatto che fisiologicamente l’orecchio umano attenua fortemente il suono frontale nelle frequenze attorno a 5 kHz. Per tale motivo molti modelli di cuffie in commercio, sia di gamma medio bassa che elevata, presentano un’attenuazione intorno a tale frequenza. Dato che la registrazione binaurale con l’utilizzo di una testa artificiale attenua naturalmente la frequenza predetta, in quanto si comporta esattamente come un orecchio vero e proprio, l’ascolto di tali registrazioni dovrebbe essere effettuato con una cuffia avente risposta in frequenza lineare (o piatta), da ottenersi tramite apparati elettronici appositamente costruiti, o tramite un’equalizzazione da parte dello stadio di amplificazione.
La stereofonia appare quindi ideale per la registrazione in studio, quando gli strumenti suonano in ambienti insonorizzati, spesso in momenti diversi, e di conseguenza vi è la necessità di un ulteriore lavoro di post-produzione e di mixaggio.
La registrazione binaurale, invece, è ideale per ricreare la sensazione “live” di una sala da concerto, così come per ogni tipo di ripresa ambientale e naturalistica.
Come il nostro sistema uditivo localizza la posizione di una sorgente sonora
Il meccanismo fondamentale si basa sul fatto (un po’ come nella visione) di possedere due orecchie e non una sola. Tramite l’ascolto binaurale, cioè con entrambe le orecchie, il nostro sistema percettivo è in grado di confrontare le caratteristiche fisiche del suono che perviene alle due orecchie e di ricavare, da tale confronto, informazioni sulla posizione della sorgente che l’ha generato. Vediamo come.
Individuazione della direzione di provenienza del suono
Per chiarire la strategia che il nostro sistema percettivo utilizza per individuare la direzione di provenienza di un suono, immaginiamo di avere un altoparlante che genera un suono e un ascoltatore che ruota la testa in modo da avere il suo orecchio destro più vicino all’altoparlante di quello sinistro.
In tale situazione si verificano due effetti:
1) essendo l’orecchio destro più vicino del sinistro esso raccoglierà, tramite i padiglioni auricolari, il suono in anticipo. La differenza dei tempi di arrivo del suono viene chiamata ITD (acronimo dell’inglese Interaural Time Difference). Una stima di tale grandezza si ottiene dividendo il maggior percorso che deve compiere il suono per arrivare all’orecchio più lontano (la “larghezza della testa”) per la velocità del suono in aria. Assumendo come larghezza della testa 0,25 m e come velocità del suono 340 m/s otteniamo come ITD:
cioè circa 0,7 millesimi di secondo. Tale tempo sembra straordinariamente breve tenuto conto anche del fatto che è il massimo ITD possibile (se le due orecchie e l’altoparlante non sono allineati l’ITD è ovviamente minore, visto che diminuisce la differenza dei percorsi). Tuttavia il nostro sistema percettivo è, in condizioni ottimali, capace di cogliere ITD dell’ordine 0,1 milionesimi di secondo e quindi è del tutto in grado di valutare i tempi di ritardo che si presentano nelle situazioni tipiche. Ruotando la testa si può fare in modo che l’ITD si annulli (o comunque scenda al di sotto del minimo valore rilevabile): in questo modo la retta che indica la direzione della sorgente giace in un piano perpendicolare al segmento che unisce le due orecchie e passante per il punto di medio di questo. Tale piano è, ovviamente, il luogo geometrico dei punti dello spazio equidistanti dai due padiglioni auricolari.
2) L’orecchio più lontano si trova nella “zona d’ombra” creata dalla testa e riceve il suono con intensità minore. Tale differenza in intensità viene chiamata IID (acronimo dell’inglese Interaural Intensity Difference). Elaborando l’IID il sistema uditivo riceve ulteriori informazioni sulla direzione di provenienza del suono. Il più piccolo valore di IID che il nostro sistema uditivo può apprezzare è dell’ordine di 1 dB.
Le due “strategie” appena descritte presentano la loro massima efficacia in range diversi di frequenza:
– la prima strategia è molto efficace per onde di bassa frequenza (ed elevata lunghezza d’onda) per le quali l’ostacolo rappresentato dalla testa dell’ascoltatore è facilmente aggirabile (vedi a questo proposito la pagina relativa alla diffrazione del suono);
– la seconda strategia è molto efficace per onde di alta frequenza (e bassa lunghezza d’onda) per le quali l’ostacolo rappresentato dalla testa dell’ascoltatore è quasi insormontabile e determina un significativo decremento dell’energia sonora (intensità) che arriva all’orecchio più lontano dell’ascoltatore.
Un’ultima precisazione: i due effetti appena descritti sono efficaci se l’onda sonora che esce dall’altoparlante ha una direzione ben precisa (così che il suo percorso può essere rappresentato come un segmento di retta). Come spiegato nella pagina diffrazione del suono questa condizione è più difficilmente realizzabile per onde di basse frequenza; la sorgente di tali onde è quindi, in genere, meno facilmente individuabile.
Individuazione della distanza della sorgente
La misura dell’ ITD e dell’IID (a meno che la sorgente sonora non sia molto vicino alla testa) non permette di localizzare la distanza della sorgente ma solo la direzione di provenienza del suono. Il nostro sistema uditivo utilizza altri strategie per valutare la distanza della sorgente:
– in ambienti chiusi esso è in grado di valutare quanta dell’energia sonora catturata dai padiglioni auricolari arriva direttamente dalla sorgente e quanta da fenomeni di riflessione con le pareti: dalla proporzione di questi due contributi il sistema uditivo è in grado di stimare la distanza della sorgente;
– in ambienti aperti (se la sorgente è lontana) valutando, per esperienza, le modifiche del timbro del suono al variare della distanza (in questi casi l’esempio classico è quello del tuono che “suona” in un modo ben diverso a seconda della distanza da cui viene percepito).
Individuazione dell’elevazione della sorgente
Tra le informazioni che il nostro sistema uditivo utilizza per localizzare la sorgente vi è anche l’altezza (elevazione) della sorgente rispetto ai padiglioni auricolari. Esperimenti recenti hanno dimostrato che nel “catturare” tale informazione giocano un ruolo decisivo i padiglioni auricolari. Puoi provare a verificare tale ruolo:
– provando a tener, a forza, i padiglioni stesi lungo il cranio. Se incarichi qualcuno di generare un suono davanti a te (chiudi gli occhi) magari tintinnando con un mazzo di chiavi, troverai difficoltà ad individuare l’elevazione della sorgente;
– provando (ma l’esperimento è sconsigliabile anche se è stato effettuato) a riempire di plastilina tutte le pieghe de padiglioni auricolari fino a renderli una superficie piatta; ebbene, anche in questo caso, il sistema uditivo fatica ad individuare l’altezza della sorgente. Quest’ultimo esperimento, in particolare, dimostra che la particolare conformazione dei padiglioni auricolari gioca un ruolo decisivo nella determinazione dell’elevazione della sorgente: evidentemente i piccoli sfasamenti introdotti della riflessione del suono dalle molteplici pieghe presenti nel padiglione possono essere utilizzati a livello centrale, per ricavare informazioni di tipo direzionale.
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